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  • Dott.ssa Licia Lietti

I sintomi depressivi

L’esperienza della maternità di un bimbo nato molto prematuro è dolorosa e traumatica. Lo sanno tutte le mamme che l’hanno vissuta, così come tutte sanno che la tristezza, l’insonnia e la spossatezza sono all’ordine del giorno. Questo vuol dire che sono tutte depresse?

Sempre più spesso si sente parlare di maternity blues (o baby blues) e di depressione post-partum. A chi di noi non è capitato di sentirne parlare o di avere paura di trovarsi in questa condizione. Ma cosa s’intende con questi termini e che differenze ci sono?

Con il termine maternity blues viene indicata una condizione caratterizzata dalla presenza di lievi sintomi depressivi (tristezza, facilità al pianto, irritabilità, ansia, disturbi del sonno e dell’appetito), che si manifestano nei primi giorni dopo il parto e durano al massimo due settimane. E’ una condizione che si presenta nel 50-70% delle neo-mamme, ma che ha carattere transitorio e tende a risolversi spontaneamente. Lo hanno provato molte di noi mamme, ma è un malessere che non degenera né si protrae per troppo tempo.

La depressione post-partum invece è caratterizzata da sintomi depressivi, ascrivibili a quello che definiamo essere un episodio depressivo maggiore, che si presentano nelle settimane successive al parto. Il DSM-V, il manuale che raccoglie tutte le diagnosi psichiatriche, definisce un episodio post-partum quello che esordisce a 4 settimane dal parto, anche se i clinici sono concordi nel pensare che il periodo di attenzione andrebbe esteso fino al primo anno del bimbo. Si parla di episodio depressivo maggiore quando, per un periodo di almeno due settimane, sono presenti, in maniera piuttosto persistente e invasiva nella vita di tutti i giorni, alcuni di questi sintomi: l’umore è depresso in modo pressoché costante, c’è scarso interesse o piacere per la maggior parte delle attività, ci sono modificazioni nel sonno e nell'appetito, si presentano agitazione o rallentamento sia nei pensieri che nel parlare, sensi di colpa, stanchezza eccessiva, e infine, pensieri frequenti legati alla morte.Questi sintomi sono importati da riconoscere e da trattare, perché, a differenza della maternity blues, non si risolvono spontaneamente e necessitano di un intervento medico e/o psicoterapico. La grande differenza sta principalmente nel protrarsi e aggravarsi del malessere.

 

E’ importante sottolineare che ora l’attenzione alla depressione viene posta anche durante la gravidanza, perché si è osservato che circa la metà degli episodi depressivi post-partum in realtà hanno un esordio già durante l’epoca gestazionale.

Tant’è che ora non si parla più solo di depressione post-partum, ma più in generale di depressione perinatale, ad indicare un episodio depressivo che compare durante la gravidanza o nelle settimane successive al parto.

 

I fattori che possiamo considerare essere alla base dello sviluppo di un episodio depressivo perinatale sono fondamentalmente tre:

  • Biologici, cioè una predisposizione personale a sviluppare episodi depressivi

  • Sociali, cioè l’assenza di una rete sociale e di un compagno che ci supporti adeguatamente

  • Psicologici, cioè come si sta vivendo la gravidanza o il parto, piuttosto che altri fattori di stress psicologici.

Questo per dire che, nonostante ci sia anche una predisposizione “biologica”, se possiamo contare e affidarci su una buona rete sociale (marito, amiche, nonne, etc..) abbiamo un’importante risorsa terapeutica da non sottovalutare.

Discorso a parte va fatto per le mamme pretermine. In questo caso i vissuti tipicamente depressivi, come la tristezza, l’ansia, l’insonnia o il senso di colpa sono molto comuni e frequenti. La nascita di un bambino pretermine e la degenza in TIN è dolorosa e comporta delusione, tristezza e preoccupazioni. Proprio perché la situazione è altamente traumatica, non è detto che queste sensazioni vadano a configurare una depressione post-partum. Ciò non toglie che, anche senza voler medicalizzare ogni sensazione negativa, ci si trova spesso ad affrontare una sofferenza e un dolore che deve poter essere condiviso, accettato ed elaborato. Per questo cercare di mettere in parole tutta questa esperienza, innanzitutto nella propria rete sociale, ma se è possibile anche con uno professionista, può essere di grande aiuto ed una risorsa che non va sottovalutata.

 

"Che ne sappiamo noi, genitori irregolari, di come si toccano i bambini.

Li vogliamo toccare ma non sappiamo mai, come e quando è il momento. Così ritorna il silenzio e tornano le lacrime, quelle non smettono per un bel pò. Non v’immaginate un pianto singhiozzante e acuto, questo è diverso. È un pianto muto, lento e impenetrabile. Solo voi mamme, voi e solo voi, credo che sappiate di che si tratta. Noi papà lo guardiamo da fuori e cerchiamo di capire, forse ci avviciniamo anche a comprenderlo, ma quando esploriamo quel dolore fino alle viscere e arriviamo all'ombelico, a quel punto ci dobbiamo fermare perché quel dolore è solo vostro".

 

(Tratto da "Come Respira una Piuma" di Marcello Florita, psicologo clinico e psicoterapeuta, padre di due gemelli nati pretermine al sesto mese e mezzo di gravidanza.)

 

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