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Intervista a Marcello Florita



Marcello Orazio Florita è psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista SIPRE. Da anni consulente dell’Ospedale S. Raffaele di Milano, ha pubblicato due saggi di psicoanalisi: L’Intreccio (Franco Angeli) e Alice, il porcospino e il fenicottero (Guaraldi). Collabora con la rivista “Viversani & belli” per le rubriche Sesso e Psiche e Genitori e Figli.

Padre di due gemelli, Francesca e Filippo, nati alla 29ma settimana di gestazione, ha voluto condividere, attraverso uno splendido libro, l’esperienza della nascita pretermine dei suoi figli, della permanenza in TIN, delle angosce, delle speranze, della gioia di portarli finalmente a casa e dei dubbi sulla loro crescita. “Come respira una piuma” è il racconto, scritto con infinita sensibilità e profondità, che raccoglie emozioni, sensazioni, sentimenti, emotività, e grazie al quale, tantissimi genitori che hanno vissuto con i loro figli l’esperienza di una terapia intensiva neonatale, si possono riconoscere.

“… Ormai capita spesso di andare al parco giochi. Francesca e Filippo sono cresciuti, camminano, corrono barcollando e gridano “wow” quando vedono i piccioni volare. Solo i bambini si meravigliano dei piccioni che volano a Milano, gli adulti mettono i dissuasori di sosta sulle finestre o i veleni nei parchi per eliminarli. Li guardo a distanza, mi piace farli sperimentare e cadere. Ora so che possono rialzarsi. Una mamma s’avvicina, una baby sitter sogghigna nel vederli esplorare in coppia, un padre li aiuta a salire le scale dello scivolo e, senza nemmeno accorgersi, ci si ritrova a parlare e a raccontare le proprie storie. Come uno starnuto, succede all’improvviso, senza un prima programmato e con un dopo che lascia quel lieve senso di stordimento. Loro sono Filippo e Francesca e sono due bambini prematuri. Ora li vedi respirare come tutti gli altri, camminare e correre barcollando, non più e non meno di Tommaso, Bianca, Federico, Rebecca e Marco. Sono uguali, indistinguibili, e solo in noi quattro c’è tatuata la loro storia. Quando la racconti, ti rendi conto che l’eco delle tue parole rimane sospeso nell’aria e con il freddo dell’inverno, del secondo inverno insieme, si congela nell’aria formando stalattiti pungenti e fredde. Solo quando arrivo a casa si scioglie, lasciando sulla pelle un rivolo di sudore ...”

 

“Un romanzo intelligente e delicato in cui troviamo la capacità interpretativa dello psicanalista insieme al linguaggio affettivo del padre. Un viaggio coinvolgente e istruttivo nel paesaggio intricato della genitorialità dei figli nati prematuri”

Gustavo Pietropolli Charmet

 

Francesca e Filippo

 

C’è un momento particolare che le ha dato la determinazione di iniziare a scrivere la sua esperienza?

Sì, erano passati 6 mesi dalla loro nascita, loro stavano bene, tutto filava liscio, l’albero era addobbato, i regali impacchettati, ma io non stavo bene. Ho scritto una breve lettera a tutta la famiglia per raccontare il mio e il nostro dolore e dopo quelle prime righe, che commossero tutti i miei cari, mi sono trovato a scrivere ogni sera, senza tregua. La lettera che ho scritto per la famiglia è stata presentata ad un concorso letterario ed ha vinto il primo premio. I pensieri disconnessi di ogni notte insonne sono diventati un romanzo dal titolo “Come Respira una Piuma”.

Durante la degenza dei bambini lei aveva già iniziato a scrivere i suoi pensieri?

No, in quel momento era impossibile. L’esperienza della nascita pretermine è molto intensa emotivamente. Ti trovi a diventare padre-genitore all’improvviso, molto prima del previsto. Diventare padre in una terapia intensiva neonatale significa vivere una paternità precaria, dove giornalmente cammini sul sottile filo della vita, in un delicato ed angosciante confine, tra la vita e la morte. Il genitore di un bimbo prematuro è un equilibrista improvvisato, senza cinghie o reti di sicurezza. Per questo in TIN è difficile capire ciò che si vive, come avviene in guerra, si combatte e si pensa a sopravvivere. C’è poco spazio per formalizzare e tradurre i propri vissuti. Ci si alza e si combatte, pensando a portare a casa un giorno in più.

Quale è stata la motivazione principale che l’ha spinta a voler pubblicare il suo libro?

Perché credo che sia importante tradurre e condividere i vissuti di un genitore in TIN. Dare un nome, una forma e un colore a quei dolori può aiutare ogni genitore a elaborarli o sdoganarli internamente. Dopo la pubblicazione molti genitori mi hanno scritto e ringraziato, perché, a detta loro, la lettura li ha alleggeriti di qualche peso.

Come potrebbe essere meglio accompagnato il papà in questo percorso?

Credo che ci siano tante cose da fare nelle TIN. Quando una donna è ricoverata da giorni nel reparto di patologie della gravidanza, bisognerebbe preparare i genitori all’eventualità di una nascita pretermine. Tutto ciò può passare attraverso il far conoscere dove è ubicata e come è fatta la TIN, quali sono le criticità e quali le aspettative. Tutti gli studi sul tema dicono che i padri preferiscono essere preparati e sapere a cosa vanno incontro, piuttosto che navigare nel buio. E poi c’è il momento del ricovero. Credo che ci debbano essere psicologi nelle TIN. Inoltre, credo che ci debba essere una maggiore cultura e formazione degli operatori delle TIN. Su questo aspetto sto lavorando alla creazione di un Master di Psicologia Perinatale, perché solo capendo ciò che vive un genitore, si può capire cosa sia più utile dire o fare con un padre e una madre, quindi cosa sia più utile per il bambino. Tutti gli studi sottolineano che la presenza e il benessere di un genitore influiscono direttamente sulla prognosi del neonato.

Chi sono state resistenze da parte di editori nel pubblicare il libro?

É un tema difficile. Ci sono state diverse case editrici interessate, ma l’argomento non è sicuramente leggero o popolare. Alla fine abbiamo puntato su una giovane che ha deciso, fin da subito, di puntare sul mio progetto letterario.

Nelle presentazioni del libro che lei ha fatto in giro per l’Italia che tipo di consensi e di pubblico ha trovato?

È stata un’esperienza molto interessante, perché sono entrato in contatto con persone diverse: mamme, papà, nonne, medici, curiosi, tutti uniti da una particolare sensibilità alle tematiche legate alla nascita e al dolore. Due sono i commenti che mi sono rimasti più impressi: Il primo è di una donna scandinava. Mentre parlavo del tipico senso di colpa che sentono le mamme per la nascita pretermine, mi ha interrotto dicendo che in Svezia le mamme non la vivano, quindi è probabile che esista una forte impronta culturale. Poi ricordo un commento di una nonna che, a fine presentazione, è venuta da me timidamente. Mi ha ringraziato e mi ha spiegato che il mio libro le ha permesso di riflettere in un modo nuovo sull’esperienza della maternità, perché la nascita pretermine non dà per scontato nulla e ciò aiuta a vedere con maggiore chiarezza ogni piccola conquista. Come accenno nel mio romanzo è una genitorialità da nouvelle cousine, dove si va avanti con piccolissimi assaggi che permettono di assaporare lentamente e molto distintamente ogni tappa dello sviluppo del bambino e della relazione con lui.

Per maggiori informazioni consultare il sito: https://www.marcelloflorita.it/


 

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