Legge 104 per i neonati prematuri
Lavoro come psicologa in Terapia Intensiva Neonatale dal 2010, e da marzo 2018 sono approdata nella TIN di Vicenza.
Avere a che fare con la prematurità significa confrontarsi con tematiche come la separazione, la perdita, accompagnate da sentimenti carichi di angoscia, ansia per il futuro, paura di sperare e allo stesso tempo paura di non farlo, senso di colpa.
C’è poco spazio all’inizio per la gioia che solitamente accompagna i primi momenti dei genitori con il loro bambino.
Raccontare l’essere genitori in Terapia Intensiva Neonatale non può prescindere dalle storie di vita dei genitori che si trovano, loro malgrado, a vivere l’esperienza del ricovero del proprio figlio.
Come la mamma di G., che mi racconta trepidante i suoi primi momenti con la figlia:
“ … La prima volta che sono entrata in reparto ero molto intimidita dall’ambiente, dai monitor che suonavano, dal fatto che mia figlia fosse quello scricciolino pieno di tubi e con la pelle tutta raggrinzita, come quella di un vecchietto, con gli occhi coperti da una fascia che era più grande del suo visino. Non poteva essere lei, eppure era lì, mi sembrava così piccola e fragile, e io non riuscivo a sentirla mia …“
Il mio ruolo in reparto in quanto psicologa è quello di aiutare i genitori ad entrare in relazione con i loro figli mettendomi in una posizione di ascolto e di empatia.
Spesso mi metto accanto all’incubatrice e stimolo i genitori a costruire una narrazione del percorso che stanno vivendo, a partire dalla loro storia, che ciascuno di loro si porta dietro.
“ … Abbiamo tanto desiderato questa bambina “, prosegue la mamma di G., dopo un periodo difficile in cui mi sono trovata ad assistere mia madre gravemente ammalata e che alla fine è venuta a mancare. Ora quando la guardo, così piccola e piena di tubi e di fili, non posso fare a meno di pensare alla mia esperienza con la mamma, anche se questa volta è un accompagnamento alla vita e non alla morte …”
Spesso i genitori parlandomi della loro esperienza riportano l’immagine di un vecchietto, o di un alieno che man mano che passano i mesi “ ringiovanisce “, fino a diventare un “ bambino vero “.
La caratteristica di questi neonati piccolissimi infatti è quella di un esserino dalle fattezze di un vecchio che poi pian piano assume le sembianze di un neonato.
Ciascun genitore che si trova a vivere un’esperienza simile si porta dietro il suo bagaglio di storia personale, che influenza inevitabilmente tutto il vissuto che si porta dietro in TIN.
La prematurità ha la caratteristica di ingaggiare prima del tempo anche i papà, che come le loro compagne si trovano ad avere un contatto precoce con i loro figli.
Loro non hanno vissuto il tempo della pancia e quando entrano in reparto si attivano comunque quei meccanismi di protezione che li aiutano a sentirsi padri e a tutelare in qualche modo il loro bambino.
“ … Andare a trovare mia figlia, sedermi sulla sedia e leggerle una storia, era l’unico modo che avevo per farle sentire che c’ero. E poi mi sembrava il minimo che potessi fare, lei lottava per la sua vita, in fondo viveva per noi, come potevo non starle accanto. Niente di quello che viveva mi sembrava naturale, in fondo doveva stare ancora dentro la pancia. Qualunque cosa le si chiedesse di fare era una violenza, dal mangiare con il biberon al cambio pannolino, perché il suo tempo era ancora quello della pancia, ma lei nonostante tutto andava avanti, combatteva la sua battaglia e noi con lei … “
Stare accanto al proprio figlio a volte è una battaglia, una lotta tra il senso di responsabilità come genitore e la difficoltà a confrontarsi con il dolore e la sofferenza, soprattutto a vederla nel proprio bambino/a.
“ … Vengo qui e resto a guardarlo, gli racconto una storia, perché a volte non so bene cosa dire, e allora prendo il libro delle favole e mi metto a leggere, così almeno sente la mia voce, e non si sente solo … “
Così racconta S., pallida e minuta, con un’espressione un po’ ingenua e spaventata, con lacrime che le inondano gli occhi e che basta un battito di palpebra, per far scendere a cascata.
Ma S. vuole dimostrarsi forte, dice, e viene a trovare il figlio tutti i giorni, insieme al marito, ogni volta sperando in un piccolo miglioramento, che ancora non è arrivato.
Perché in TIN ci sono anche neonati tanto fragili che ogni giorno lottano per la sopravvivenza, e sembra siano fermi, perché non fanno progressi, e i genitori si trovano imbrigliati in sentimenti ambivalenti, che li fanno star male.
“ … A volte mi sento terribilmente in colpa perché vorrei che tutto finisse, che quest’agonia quotidiana mi desse una tregua, ma questo significherebbe arrendersi, e perdere mio figlio, e allora mi dico che non devo fare questi pensieri, che mio figlio ce la deve fare. E’ che certi giorni, mi sento proprio sfinita, sento che ho raggiunto il limite, che più di così non ce la faccio! …“
Le situazioni che i genitori si trovano ad affrontare in TIN sono quindi molto diverse tra loro, e in ogni caso ciascuno ha una propria modalità di viverle e affrontarle.
Ogni storia ha una sua trama narrativa che dipende da tanti fattori, come il proprio assetto mentale, la famiglia di origine, gli schemi relazionali propri, e una certa capacità di far fronte alle difficoltà, diversa da persona a persona.
Avere un figlio è già di per sé una condizione che ci rende vulnerabili e forti allo stesso tempo. Essere genitori significa essere responsabili per un essere umano, diverso da noi, e imparare ad amarlo.
L’ambiente della TIN mette a dura prova l’attivazione della funzione genitoriale, che ha bisogno del supporto di tutti i nostri sensi per avviarsi.
I genitori della TIN vivono esperienze molto forti e intense, ed è difficile, a volte, anche parlarne.
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