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  • Dott.ssa Valentina Milani Psicologa

La voce dei genitori (Seconda parte)





“ …E’ mio figlio che mi dà il coraggio di andare avanti, all’inizio non era facile, cercavo qualsiasi segno che mi facesse capire che in qualche modo mi riconosceva, anche solo che mi stringesse il dito, o la prima volta che ha aperto i suoi occhietti quando ha sentito la mia voce…”

Più volte ritorna l’immagine delle “ montagne russe “, di un percorso tortuoso e complesso in cui si convive costantemente con l’incertezza, per cui si vive “ giorno per giorno “, in alcuni casi “ ora per ora “, e questo richiede ai genitori un lavoro faticoso, perché solitamente abbiamo l’abitudine di fare dei programmi, di immaginarci come le cose potrebbero andare, un po’ per tenere sotto controllo l’ansia di ciò che non conosciamo, un po’ perché abbiamo bisogno di crearci delle rappresentazioni delle varie situazioni in cui potremmo trovarci e di immaginarci dentro le stesse.


Di fronte alla possibilità che il proprio bambino muoia, è impossibile per un genitore immaginarsi uno scenario così doloroso, e allora si vive istante dopo istante, perché anche solo pensare all’eventualità di perdere il proprio figlio fa troppo male.


“ …E’ un piccolo guerriero, lo guardo e mi dà tanta forza, perché non si arrende, e quando vengo mi sembra che in qualche modo capisca che sono qui, perché prova ad aprire gli occhi quando sente la mia voce, oppure mi stringe il dito… “

L’ambiente iper-tecnologico della TIN non aiuta a sentirsi dei “veri genitori“, per cui spesso le mamme mi dicono di non vivere la maternità al cento per cento, e allora cercano dei segnali di riconoscimento della loro presenza nel proprio bambino, che in qualche modo faccia loro percepire l’interazione reciproca.

“ … Ho notato che cerca di aprire gli occhi quando sente la mia voce, allora penso che forse mi riconosce, e sente che sono lì vicino a lui, o almeno a me piace pensarlo … “

Anche l’impatto estetico ha una sua importanza, in quanto richiama alla mente l’immagine del neonato bello e sano. Tanto più forte è lo scarto tra il bambino reale e quello immaginato, tanto più forti saranno i sentimenti di delusione, di inadeguatezza, e di rifiuto.

Ciascun genitore cerca allora delle tracce, dei piccoli particolari in cui potersi identificare, somiglianze che a volte nota solo la madre o il padre, ma che sono preziose in quanto permettono al care-giver di provare un senso di appartenenza nei confronti del proprio bambino, strumento prezioso per combattere contro il forte senso di estraneità che viene spontaneo provare, al primo impatto.


Con il passare delle settimane i genitori hanno la possibilità di assistere come spettatori partecipi ai cambiamenti dei loro figli, che diventano sempre più simili ad un “bambino vero“.


“ …Ieri l’ho presa in braccio per la prima volta...“

Mi racconta la mamma di S., nata a 26 settimane.,

"...e così ho potuto guardarla. Ora ha le guance più piene, e mi sembra più simile ad una bambina. Non che prima non lo fosse."

si affretta ad aggiungere

"Ma adesso è più vicina all’immagine che mi sono sempre fatta di me stessa con mia figlia… “

In questo percorso ad ostacoli giocano un ruolo fondamentale anche medici e infermieri. Loro sono “gli zii e le zie“ che si prendono cura dei loro bambini, e in cui i genitori riversano anche le proprie proiezioni legate alla genitorialità. Ogni gesto, parola e azione viene pesato dalla bilancia emotiva di mamma e papà, e allo stesso tempo imparano a prendere confidenza con il figlio studiando e osservando l’approccio degli infermieri.


“ …Mi pare impossibile maneggiare con tanta sicurezza una creaturina così piccola e fragile , io che quando lo guardo ho tanta paura di romperlo, di fargli del male. E poi gli parlano, come se capisse, e allora anch’io penso che è proprio vero, che è vivo, e mi dico, ma è proprio mio? “

Racconta la mamma di S., nei primi giorni di ricovero della figlia

"… Quando sono arrivata la dottoressa mi ha detto che oggi è stabile, io avrei tantissime domande, vorrei sapere se ce la farà, se starà bene, se potrà avere una vita normale, se tutta questa sofferenza avrà delle conseguenze sul suo sviluppo, vorrei che mi dicesse che ormai è fuori pericolo, ma mi rendo conto che è impossibile, che devo accontentarmi di quella parola, “ stabile “, che vuol dire tutto e niente..."
“ … La dottoressa si è avvicinata e mi ha detto che voleva parlare con noi, con me e il mio compagno - racconta la mamma di due gemelli nati a 28 settimane - e io mi sono subito agitata, ho temuto il peggio, ho pensato ecco adesso mi diranno che c’è stata qualche complicazione, che G., il più piccolo, è stato di nuovo male, oppure che è successo qualcosa a D. Aveva lo sguardo serio la dottoressa, quindi sicuramente c’era qualcosa di grave, mi sudavano le mani, avevo la bocca secca, quasi non riuscivo a deglutire per l’ansia. E’ successo qualcosa a G.? Chiedo, perché avevo notato che c’era del movimento attorno a lui, almeno 4 medici più le infermiere che parlavano davanti alla sua incubatrice. Ci dice che purtroppo G. ha avuto delle scariche ematiche, e nella mattinata l’hanno fatto visitare anche dai chirurghi, perché sospettavano si trattasse di N.E.C., enterocolite necrotizzante, una delle complicanze più gravi legate alla prematurità. La dottoressa ha continuato a parlare, ma io non la seguivo già più, pensavo al mio bambino, al fatto che così piccolo dovesse subire un intervento chirurgico, intanto la dottoressa parlava, e io sentivo la parola sala operatoria, perforazione intestinale, e pensavo che non ero stata in grado di proteggerlo, e che qualche volta avevo anche desiderato che nascessero prima perché mi sentivo tanto stanca e affaticata, le gambe gonfie… Come ho potuto essere così egoista e fare questi pensieri? “

si sfoga in lacrime questa mamma, mentre è in attesa che G. torni dalla sala operatoria.

Io l’ascolto, lascio che si sfoghi, che il dolore, la rabbia, la delusione e la tristezza scorrano con le sue lacrime, perché nominare i propri sentimenti attenua l’ansia e la paura, e crea lo spazio per una narrazione.


Non c’è un modo giusto o sbagliato di stare accanto a questi piccoli guerrieri, che ogni giorno si adattano come possono ad un mondo che per natura non sono ancora pronti ad affrontare. Eppure sono lì, tenaci e vitali, ciascuno a modo suo, come i loro genitori, che arrivano con la propria storia, con il proprio bagaglio di desideri, aspettative, progetti che non trovano una collocazione nel mondo della TIN.


Si tratta quindi di trovare un’altra valigia e iniziare a riempirla giorno per giorno, senza fretta, e senza giudizio.


Impossibile liberarsi di tutte le convinzioni che ognuno immagazzina nella sua esperienza di vita, ma si può tentare di ampliare il proprio sguardo, ascoltando prima di tutto le proprie sensazioni, anche quelle che fanno più male.


E’ un percorso che si fa insieme, e di cui all’inizio il bambino ha bisogno perché la sua esperienza possa trovare una collocazione, innanzitutto nella mente dei genitori, e poi nella sua.

 
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